Le Bugie di Brunetta Avevano Le Gambe Corte,
Quelle di Madia Mani Leste.
"Lo scenario drammatico dell’ultimo decennio rende la situazione ancora più esasperata ed esasperante, con il blocco pluriennale ed il mancato rinnovo dei contratti."
Il lavoro pubblico sotto il governo Renzi
La legge di agosto 2015 contiene una serie di deleghe in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.
Il proliferare dei procedimenti legislativi basati sulla delega conferita dal Parlamento al governo evidenzia lo spostamento crescente della funzione legislativa dal Parlamento all’esecutivo, un processo che va avanti da anni (di molto irrobustito dalla ritenuta incostituzionalità della reiterazione dei decreti legge) ma che continuamente ed ulteriormente si rinvigorisce, e che segna uno spostamento decisivo degli equilibri tra i poteri anche a Costituzione del 1948 in vigore.
Un processo – quello delle minorate funzioni del potere parlamentare e dello spostamento dell’equilibrio in favore del Governo – che procede in parallelo a quello dello svuotamento di ruolo e di capacità di coinvolgimento popolare dei partiti politici e dei corpi intermedi, frutto di una trasformazione (avvenuta con velocità vertiginosa) dei modelli produttivi ed economici, con un crescente peso della finanza globale, e con una progressiva svalutazione del peso dei pubblici poteri nella capacità di determinazione delle scelte e delle politiche pubbliche.
Efficientismo e servizi pubblici
In questo contesto – descritto in termini assolutamente semplificati -, e non da oggi, si persegue con processi non sempre lineari, anche per le resistenze corporative significativamente presenti nel sistema, un tentativo di semplificazione dell’azione della pubblica amministrazione finalizzato ad sua efficentizzazione, in cui però l’obiettivo dell’efficienza non collegato a quello dell’erogazione di migliori servizi per la popolazione (che anzi tendono a contrarsi con le politiche di riduzione della spesa pubblica) ma a quello di snellimento della macchina nel suo complesso e di servizio alle logiche dell’impresa (termine questo abbastanza vago, ma sostanzialmente corretto nei suoi termini essenziali).
In grandi linee più poteri e funzioni alla dirigenza, sia rispetto agli organi politici che al resto del pubblico impiego, e più snellezza del procedimento amministrativo, con una contrazione della capacità dei cittadini di interloquire con conoscenza ed efficacia nei meccanismi che precedono l’adozione dei provvedimenti della Pubblica Amministrazione.
Le riforme – di natura legislativa e costituzionale – che si collocano a cavallo dei due millenni vanno in questo senso: basta ricordare il complesso delle leggi Bassanini ed il suo pasticciato pendant costituzionale con la riforma del titolo quinto della parte seconda della Costituzione del 2001.
Parallelamente il proliferare delle authorities, variamente definite e denominate, sposta alcuni meccanismi decisionali e di controllo fuori dal rapporto tra macchina amministrativa guidata dai governi (centrali o territoriali) e organi parlamentari e consiliari comunque dotati – sia pure nel progressivo scivolamento degli equilibri in favore degli esecutivi – di una capacità o possibilità di interlocuzione.
Questo processo punta naturalmente a sconfiggere il potere contrattuale dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e dei lavoratori dei servizi pubblici, un’area questa – complessivamente intesa – attraversata dalla seconda metà degli anni settanta da un protagonismo sindacale che si colloca fuori, e molte volto contro, le forme tradizionali rappresentate dalle sigle confederali e dal sindacalismo cosiddetto “autonomo”, ma in realtà sommamente corporativo che ha (dagli anni cinquanta in poi) incrostato il mondo del lavoro pubblico.
La reazione – poggiata sulla parola d’ordine della privatizzazione del pubblico impiego – alla nascita del sindacalismo di base, ed alla sua forza che si sposta da un comparto all’altro e attraversa i territori del Paese, non ha solo una ragione interna al mondo della sfera pubblica, ma un significato più generale.
Il discorso di Lama sulle compatibilità al Palaeur è del 1977, il grande movimento conflittuale dei lavoratori della sanità pubblica (sulle proprie condizioni di lavoro, sul reddito e per il rafforzamento del a capacità di intervento e della qualità del servizio sanitario pubblico) è del 1978, ed è stato preceduto dalla lotta dei giovani occupati che entrano nella pubblica amministrazione con la legge 285.
Il sindacato confederale punta a diventare forza di governo, in realtà a diventare forza subalterna al sistema delle imprese, ma trova nell’ambito delle pubbliche amministrazioni e dei servizi pubblici forme di resistenza e di rilancio della mobilitazione dei lavoratori assolutamente inattese.
Queste dinamiche – in termini non lineari, data la complessità e l’estrema articolazione della macchina amministrativa e della sfera del lavoro pubblico nel suo complesso – accompagnano e condizionano gli obiettivi di costruzione di quella che viene definita (con la fantasia semantica di un ragioniere) l’azienda Italia, ovvero un paese in cui sostanzialmente contino di meno gli organismi elettivi e di rappresentanza e le espressioni di organizzazione delle classi subalterne, un’ azienda Italia in cui si allarghi la forbice tra i percettori di rendite e profitti ed il mondo del lavoro e delle riserve del lavoro.
Non c’è grande fantasia: così come nel lavoro privato si tende alla sempre maggiore precarizzazione del posto di lavoro (per avere di fronte lavoratori ricattabili e più deboli) nel pubblico impiego e nel lavoro pubblico si tende a minare la rigidità di chi presta servizio nella sfera pubblica.
La legge Madia.
Da Bassanini a Brunetta, da Brunetta a Madia (passando per chissà quanti nomi ormai dimenticati di replicanti ministri della Funzione Pubblica) nelle grandi linee il disegno è lo stesso.
Ciò che cambia sempre di più è lo scenario economico in cui questo percorso si colloca: lo scenario drammatico dell’ultimo decennio rende la situazione ancora più esasperata ed esasperante, con il blocco pluriennale ed il mancato rinnovo dei contratti.
Tutte le disposizioni contenute nell’articolo 8 della legge delega n. 124 del 2015 sulla “riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato” vanno in questo senso: portare a casa – con il nuovo governo decisionista dell’invincibile (o quasi invincibile) armata di Renzi – una serie di risultati a cui si aspira da decenni. Basti, esemplificativamente, il richiamo di cui all’art. 8, primo comma, lettera c) della legge ai principi e criteri direttivi della legge 59 del 1997 (la Bassanini per l’appunto) in tema di riallocazione dei poteri gestionali e normativi in senso verticistico, “nel rispetto del principio di separazione tra indirizzo politico e gestione” o nella “introduzione di maggiore flessibilità nella disciplina relativa all’organizzazione dei Ministeri, da realizzare con la semplificazione dei procedimenti di adozione dei regolamenti di organizzazione, anche modificando la competenza ad adottarli”.
Il Capo III della legge delega ha come rubrica la parola “personale”, e contiene un articolo 11, dedicato alla dirigenza pubblica, oltre che altre disposizioni dedicate agli incarichi direttivi dell’Avvocatura dello Stato, alla semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca, ed alla “promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche”.
Nel capo IV della legge, recante in rubrica “deleghe per la semplificazione normativa” l’art. 17 è dedicato al “riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”.
Il 15 giugno 2016 il Governo ha approvato definitivamente il testo del decreto legislativo approvato ai sensi dell’art. 17, comma 1, lettera s) della legge 124 del 2015 sul licenziamento disciplinare, il quale integra e modifica l’art. 55- quater del Testo Unico del Pubblico Impiego n. 165 del 2001.
Si inserisce cioè la legge delega, ed il decreto legislativo di attuazione, sul corpo della legge Brunetta che aveva aggiunto il bis, il ter, il quater etc. all’art. 55 del testo unico, varato nel 2001, uno degli ultimi atti del governo Amato che chiuse la legislatura guidata dal centro-sinistra ed iniziata nel 1996.
Il comma 1 dell’art. 55 quater del Testo Unico consisteva nell’introduzione di una specifica fattispecie penale (e questo nesso tra la trasformazione in senso verticistico e gerarchizzato del rapporto di lavoro pubblico e l’ampliamento della sfera del diritto penale non può essere posto nel dimenticatoio, ma deve essere oggetto di una riflessione più ampia sul nuovo populismo penale, che accompagna i processi di trasformazione della vita politica e sociale negli ultimi decenni), per cui “il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
L’elemento è importante perché non solo portava all’introduzione di una fattispecie specifica (oltre la vecchia previsione già esistente di falso e truffa), ma perché tale introduzione aveva il suo nucleo centrale proprio nell’effetto annuncio, nel manifesto della penalizzazione nell’ambito del rapporto di lavoro, nella trasformazione delle modalità e dei soggetti del controllo (la polizia giudiziaria piuttosto che gli ordinari apparati del procedimento disciplinare)
Il primo elemento nuovo, e cioè il comma 1 bis dell’art. 55 quater, è costituito – in tutta risposta agli input emozionali e scandalistici lanciati con ricorrenza quasi quotidiana dai media e nella scia del panpenalismo demagogico ed allarmista proprio del governo Berlusconi/Brunetta- dall’introduzione di una nuova descrizione della condotta oggetto della previsione penale introdotta nel 2009, per cui “costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso”. Con l’ulteriore indicazione per cui “della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta”.
In tale ultima ipotesi occorre fare un’osservazione. Se si tratta di concorso nel reato, sotto il profilo della tecnica normativa non si comprende il perché di questa specifica disposizione. Se non è così perché si vuole lanciare un messaggio all’opinione pubblica, che deve individuare il dipendente pubblico come nemico della patria e spingere la dirigenza alla durezza ed alla inflessibilità nel governo del pubblico impiego, ed a tutti i pubblici impiegati, a cui viene prospettato una sorta di grande fratello, occhiuto ed invadente, che se non si dimostra occhiuto ed invadente al punto giusto viene assoggettato al procedimento penale ed è esposto alle sanzioni disciplinari.
I commi due e tre del testo brunettiano dell’art. 55 quater prevedevano rispettivamente che, nelle ipotesi di reato indicate, “il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subiti dall’amministrazione” e che “la sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di cui al comma 1 comporta, per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo ed altresì, se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione. Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all’assenza dal servizio, rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati né oggettivamente documentati”.
Ma Renzi non vuole essere da meno del prode Brunetta, ed in questo dialogo a distanza fatto di bis, di ter, di quater e di quinquies, in cui il testo normativo non si discosta molto nella sua consistenza dal tweet che lo annuncia, compare dapprima il comma 3 bis per cui “la falsa attestazione della presenza, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato”. Se Renzi avrà tempo e vita, al prossimo passaggio normativo introdurrà anche la previsione della perdita immediata ed irreversibile della potestà genitoriale per il dipendente che versi nella condizione descritta e che abbia figli minori.
La sospensione è adottata “in via immediata e comunque entro quarantotto ore”, ma se il termine viene sforato non importa, si può procedere lo stesso all’azione disciplinare ed alla sospensione cautelare dal servizio.
Il procedimento disciplinare deve concludersi entro trenta giorni. Immediatamente si segnala il fatto al pubblico ministero ed alla procura regionale della Corte dei Conti, la quale “emette invito a dedurre per danno di immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento”.
Conclude così il comma quattro quater: “L’ammontare del danno risarcibile è rimesso alal valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia”.
Ed incalza il comma quinquies, e si succedono i cinguetti su Twitter, e i servizi in TV, e i riquadri dei giornali: “Per i dirigenti ovvero [....] per i responsabili di servizio competenti, l’omessa comunicazione all’ufficio competente [...], l’omessa attivazione del procedimento disciplinare e l’omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare costituiscono fattispecie disciplinare punibile con il licenziamento e costituiscono omissione di atti d’atti di ufficio”.
Con una insolita tecnica normativa si allargano le previsioni di reato contenute nel codice penale, ovvero nell’articolo 328 del codice, introducendo una nuova fattispecie che risulta assolutamente diversamente congegnata rispetto alle altre regolate dallo stesso articolo.
Ma il generale Renzi non si può attardare su queste sottigliezze da professoroni. Lui ... cambia verso.
Della serie di deleghe previste dall’art. 17 della legge 124 questa è la prima ad essere esercitata: è lo squillo di tromba, il manifesto da esporre la domenica pomeriggio su la prima rete Rai, ma è anche il segno di quel qualcosa di più da fare per scardinare i bastioni del pubblico impiego.
Non è questione marginale per il governo: la normativa specifica (prevista dalla lettera s dell’art. 17 che prevede l’ “introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare”) segna un passo in più nella progressiva linea di attacco alle posizioni del lavoro pubblico, e vuole cementare quello che il governo ritiene un comune sentire con le direttive che vengono da altre parti, sulla necessità di “modernizzare” i nostri apparati pubblici, con una massa di impiegati e dipendenti impoveriti e posti nella condizione di non poter mai interloquire con coloro che (da dentro o da fuori le pubbliche amministrazioni) dettano ordini ed indicazioni.
Scorrendo le previsioni di deleghe che il governo dovrebbe utilizzare entro il mese di febbraio 2017 per l’adozione di ulteriori decreti delegati, oltre quelle sulle procedure concorsuali e sull’introduzione di “un sistema informativo nazionale, finalizzato alla formulazione di indirizzi generali e di parametri di riferimento in grado di orientare la programmazione delle assunzioni anche in relazioni agli interventi di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, si prevede (alla lettera h) un rafforzamento dei poteri dell’Aran con riguardo alle “funzioni di controllo delle prerogative sindacali, nonché di funzioni di supporto tecnico alle amministrazioni rappresentate nelle funzioni di misurazione e valutazione della perfomance e nelle materie inerenti alla gestione dle personale”, la “concentrazione delle sedi di contrattazione integrativa” (ovvero la riduzione dei momenti di contrattazione e quindi del peso della negoziazione nella determinazione del concreto operare delle singole amministrazioni o di segmenti di esse) che si accompagna alla “definizione delle materie escluse dalla contrattazione integrativa anche al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito e la parità di trattamento tra categorie omogenee, nonché di accelerare le procedure negoziali”.
Riduzione della contrattazione integrativa, accelerazione delle procedure negoziali fuori dalle fumose pastoie della contrattazione del novecento e verso un luminoso futuro che ricorda i secoli che hanno preceduto il novecento, valorizzazione del merito: parole d’ordine ripetute ed affidate ora – con ampi criteri direttivi – al governo legislatore delegato.
Ma per valorizzare il merito occorre rilevare le “competenze dei lavoratori pubblici”: per tale rilevazione ecco la delega contenuta nella lettera i), che si lega a quella di cui alla lettera r): “semplificazione delle norme in materi a di valutazione dei dipendenti pubblici, di riconoscimento del merito e di premialità; razionalizzazione e integrazione dei sistemi di valutazione, anche al fine della migliore valutazione delle politiche; sviluppo di sistemi distinti per la misurazione dei risultati raggiunti dall’organizzazione e dei risultati raggiunti dai singoli dipendenti; potenziamento dei processi di valutazione indipendente del livello di efficacia e qualità dei servizi e delle attività delle amministrazioni pubbliche e degli impatti da queste prodotti, anche mediante il ricorso a standard di riferimento e confronti; riduzione degli adempimenti in materia di programmazione anche attraverso una maggiore integrazione con il ciclo di bilancio”.
Come è facile immaginare la catena di produzione non servirà a produrre servizi, ma un meccanismo costante, incontrollato ed ossessivo di valutazione, ma di valutazione di cosa?
Verticalizzazione, merito, e impoverimento del pubblico dipendente marceranno insieme ancor di più rispetto a quanto fatto, o comunque ricercato, negli ultimi anni.
Un amministrazione occhiuta nei confronti di chi costituisce il corpo dell’amministrazione stessa, con il meccanismo della rilevazione del merito che marcia di pari passo alla “riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici, al fine di garantire l’effettività del controllo” (così come previsto dalla lettera l) del medesimo articolo 17, su cui il governo dovrà esercitare la delega conferita dal legislatore del 2015).
L’insieme governato dal “rafforzamento del principio di separazione tra indirizzo politico- amministrativo e gestione e del conseguente regime di responsabilità dei dirigenti, attraverso l’esclusiva imputabilità agli stessi della responsabilità amministrativo- contabile per l’attività gestionale” (lettera t)
Politica e rappresentanza dei cittadini vengono messi in un angolo, si affidano alla casta dei dirigenti le chiavi della vettura e si inserisce il pilota automatico, ovvero il rispetto dei vincoli di natura contabile che vengono indicati da fuori, da un altrove lontano e non identificabile dalla comunità amministrata, dai lavoratori della funzione pubblica, dagli stessi dirigenti-controllori-valutatori a cui è demandato (senza possibilità di sviare, pena la sanzione penale o la ghigliottina del giudice contabile) il compito di far avanzare comunque il convoglio.
Solo una delega tra le tante materie indicate dall’art. 17 della legge 124 è stata esercitata; i giornali ne hanno parlato, molti hanno applaudito, ma forse – ci dicono i dati dell’ultima tornata elettorale – i consensi raccolti dal magnifico innovatore che ci mette la faccia non sono stati così unanimi.
Ora si tratta di capire cosa succederà con le altre materie delegate da un legislatore delegante passacarte e passivo. I tempi sono ingarbugliati, i passaggi sul piano temporale e politico sono connessi ad altri, in primis all’iter referendario della riforma costituzionale, con le possibili diverse conseguenze sul piano politico ed istituzionale.
Noi – Forum Diritti Lavoro - continueremo a seguirle, perché oggi parlare del lavoro pubblico e del concreto modo di funzionare della pubblica amministrazione non significa discutere di qualcosa di separato, o comunque di assolutamente distinto, dalle relazioni sociali più ampie, dai livelli delle prestazioni sociali, dalla qualità complessiva della nostra vita democratica.